Nives Meroi
Una cima raggiunta non basta. Bisogna discenderla con la stanchezza al culmine, lo svuotamento che ti dà l'arrivo sulla cima. Scendere è disfare la salita, scucire tutti i punti dove hai messo i passi. La discesa è una cancellazione.
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Ricordare Eliseo significa pensare alla vita.
E la vita continua. Per quello che penso di conoscerlo, sono convinto che non avrebbe piacere che si parlasse troppo di Lui.
Per ricordarlo lascio quindi che sia Lui a parlare e noi, chiudendo gli occhi, sentiremo la sua voce e lo avremo tra noi, come una volta, con il suo bicchiere di latte in mano, almeno i primi anni. Poi anche lui, si è lasciato corrompere da questa brutta compagnia!
Antonio Caregaro Negrin
Eliseo Simioni
Mi sono spesso chiesto perché faccio alpinismo, e la risposta non è certo stata facile.
Naturalmente i motivi presi in considerazione sono estremamente vari e variabili, dai più nobili come l'amore per l'avventura, la ricerca di una identità slegata dalla complessità della nostra civiltà, ai più attuali come il fare dello sano sport un po' diverso, la sfida continua tra me e la roccia e con gli altri.
In realtà però tutti questi "nobili" motivi che indurrebbero a fare alpinismo, e spesso chiamati a giustificazione, non sono altro che i più futili e i meno stimolanti. Quante volte ce li sentiamo ripetere a partire dalle trasmissioni televisive fino alle accese discussioni tra i "rocciatori" In definitiva però i motivi che io credo mi spingano a fare alpinismo sono molto "meno" nobili e " nobilitanti e più legati all'intima natura umana, spesso sconfessati o non espressi. Si invoca spesso la diversità di questa attività rispetto alle altre più sportive e più di massa. Ma a pensarci è bene proprio da questa diversità che si ricavano i veri motivi; infatti emerge prima il desiderio di ammirazione per qualcosa che solo
pochi eletti sono in grado di fare, il che forse risale dallo spirito narcisistico di ogni persona, spirito motore di quelle prove di coraggio che le popolazioni triviali eleggevano a prove supreme per dichiarare la maturità di un loro individuo.
Il divertimento nell'arrampicata si ricava dalla soddisfazione ma soprattutto nel mostrare questo superamento agli altri, non spiegherebbe altrimenti la felicità e l'ebbrezza che si ricava nel raccontare poi l'impresa al folto pubblico di alpinisti.
Motivi che da questa mia semplice analisi risultano estremamente svilenti per l'alpinismo e per questo, con la complicità di tutti, mai confessati; ma perché allora non accettare l'alpinismo senza quel velo di nobili motivazioni, per quello che è; in fondo l'uomo da sempre ha cercato di fare ciò che lo divertiva, che lo soddisfava nei suoi istinti anche narcisistici.
Cosa che avviene negli altri sport, dove la competizione è padrona.
Cerchiamo quindi di essere almeno più onesti verso l'alpinismo e accettarci per quello che siamo, in fondo è questo che la montagna ci vorrebbe insegnare quando davanti ad una difficoltà ci troviamo da soli ad affrontarla.
Eliseo Simioni
Il lungo giorno è incominciato questa notte, penso ai 27 tiri di corda che mi aspettano e alle 13 doppie per la discesa, le difficoltà in fondo non mi impressionano, quello che mi impressiona invece è la lunghezza, l'eventuale bivacco se non fossimo arrivati in vetta alla Torre in tempo per effettuare la discesa con la luce. La notte comunque è passata tranquilla, abbiamo dormito al Rif. Vazzoler. Il mattino, sono le cinque, ci svegliamo: io, Alberto e Savino; Giuseppe (ha dormito sotto la parete) ci aspetta alle 7 all'attacco della via. Ci prepariamo, fuori dallo zaino tutti i nostri "attrezzi", però non ci sono le scarpette da arrampicata di Savino e per questo rinuncerà alla salita; manca così un compagno:
siamo in tre; riusciamo a trovare poi il "quarto" al rifugio: è Gabriele, l'ho conosciuto al Bianco l'altra estate, è simpatico.
Ci incamminiamo per raggiungere Giuseppe e l'attacco della via, dopo un'ora siamo lì, lui ci aspetta e per la verità e un po' deluso perché non c'è Savino, suo compagno, accetta però di arrampicare con Gabriele. Con le cordate ormai fatte, giungiamo tutti e quattro all'attacco della via: la famosa Cassin alla Torre Trieste e via con il primo tiro, ne mancano altri 26. Subito le prime difficoltà al terzo tiro: strapiombi di giallo marcio, poi un tetto, superabile in artificiale. Debbo risparmiare le braccia, non devo forzare, la salita è lunga, stancarsi subito significa non divertirsi poi, anzi tribolare. Gabriele fa questo errore: vuole provare a superarli in libera e alla fine scoppia, solo che mancano più di 20 tiri.
Io e Alberto proseguiamo, accodati alla cordata di Giuseppe e Gabriele, con buona tranquillità; ho l'impressione che Alberto non sia in piena forma, forse è solo impressione; la via che si presenta dura, continua e friabile tale da non per mettere di rilassarsi.
Continuiamo a salire, tiro dopo tiro, si comincia a vedere anche roccia buona, ottima, e si giunge così alla seconda cengia, il luogo dei bivacchi di Giuseppe per l'invernale, di Mauro e Franca che stanno salendo sulla Carlesso, sopra di noi.
Bevo qualcosa, un succo, e si riparte per la parte terminale, con la speranza che sia meno dura e su buona roccia. La roccia si dimostra subito ottima però le difficoltà continuano, la stanchezza comincia a farsi sentire ed è passato anche mezzogiorno.
Ad una sosta Alberto mi dice che Gabriele è volato su un diedro; le braccia hanno cominciato a non reggerlo più, proseguirà perché Giuseppe lo vuole, ha già rinunciato due volte e niente da fare per la terza: "o adesso o mai più". A un certo punto c'è un tetto che vedo superare con difficoltà dalla nostra prima cordata, il che mi preoccupa non poco, troppo marcio, e infatti grosse pietre vengono fatte cadere da Giuseppe e noi siamo sotto. Partito anche Gabriele tocca a noi, io salgo fino sotto il tetto e preparo la sosta un po' aerea; ad Alberto l'onore di affrontarlo. Già i primi chiodi sono lunghi e poi c'è un traverso molto esposto sul "marcio", me ne accorgo quando dò uno strattone di prova ad un pilastrino
e questo si sposta in modo preoccupante di un paio di centimetri: "maledetto giallo"; poi ci sono due cunei di legno a sostenermi e non sono certo rassicuranti, però passo e arrivo alla sosta.
E' l'ultima seria difficoltà poi solo roccia buona e divertente, ma siamo anche stanchi e abbiamo solo voglia di uscire, e così dopo due eleganti camini siamo fuori. Giuseppe ci aspetta con Gabriele e appena ci vede mi grida: "ora l'hai fatta ed è la prima, non l'ultima". Sono le quattro e venti del pomeriggio e ci aspettano le ore di discesa.
Le doppie, 13, sono lunghe però l'ambiente è suggestivo; orridi canaloni-camini, profonde gole, enormi strapiombi, sembra un luogo da fiabe, da incubi, la montagna, la roccia che ci sovrasta, ci opprime, ci affascina: è fantastico. In questo ambiente viaggiamo per quattro ore e finalmente siamo in fondo. Ormai si vede a stento il sentiero di discesa sul ghiaione, intorno si vedono i lampi di un temporale, che scopriamo ci ha risparmiato.
Ci è stata così regalata una stupenda giornata, il mio lungo giorno sulla Torre Trieste, via Cassin.
Sono contento e "grazie a tutto".
Eliseo Simioni
L'andar per "monti" di questi tempi sembra proprio sia diventato una moda e non solo per l'arrampicata (free climbing) ma anche per l'escursionismo e non è certo la miglior cosa per la montagna stessa ed il suo ambiente, basti pensare a certi mucchi di immondizie semi occultati alla vista da buchi o vegetazione ma che danno una spiacevole sensazione di inciviltà.
Certo per avere il denaro (TURISMO) si è disposti a pagare qualunque prezzo; basta pensare alle nostre spiagge, classico esempio di degradazione speculativa.
Tutto questo per parlare dello spirito alpinistico, cioè delle motivazioni che spingono l'uomo a faticare sui monti.
E' proprio la struttura stessa della montagna, che con sue alte pareti, strette gole, gigantesche forme ci incute un certo senso di impotenza e di timore, ci opprime, facendo così leva sull'orgogliosa natura umana che per qualche istintivo motivo viene spinta verso la "con quista" di questo territorio.
Si è sempre parlato infatti di cime conquistate, di pareti vinte, terminologia molto umana.
E' da questo che scaturisce lo spirito alpinistico e cioè la voglia di conquista, non disgiunto però dal rispetto anche verso gli altri e verso l'ambiente.
L'Alpinista (in questo includo anche l'escursionista) ricerca nella montagna vecchie emozioni in maniera sana e soprattutto rispettosa verso tutto; non si disturba il prossimo con rumori molesti, non si danneggia l'ambiente con scarichi ed altro.
Ma questo spirito sta lentamente perdendo il suo significato, basti pensare alla mercificazione dell'arrampicata, ormai mero sport da palestra, e non solo, ma anche l'escursionismo sta subendo l'influenza delle mode: scarponi da trekking, capi in gore-tex e altri infernali aggeggi di derivazione "himalayana", tutto per una montagna senza fatica.
Ma dov'è finito allora lo spirito di conquista. In fondo non può esistere più conquista o vittoria, tranne forse solo per pochi fortunati, e allora si ricerca dell'altro nella montagna ed ecco uscire gli aspetti peggiori ma attuali dell'umana specie.
Pretenziosi arrampicatori che rovinosamente cadono spesso al suolo indenni o meno, escursionisti in gara con qualche tempo, e che usano la montagna solo come terreno di gara magari non rispettandolo; i più però vanno in montagna animati forse anche dalle sue bellezze, ma con molta ignoranza come quasi si andasse al mare e non è raro trovare assiepamenti tipo spiaggia in alcune valli alpine, o pellegrinaggi di centinaia di persone verso le nostre cime.
Eliseo Simioni
Ore 5.00, partiamo da casa in direzione Cortina, la preparazione è stata un po' scarsa, in fondo la via è la Jori sullo spigolo della Fiames nel gruppo del Pomagagnon, D superiore.
Giungiamo nel bosco sotto la parete alle 7,30 circa, il tempo però non è dei migliori anzi è grigio, un tempo da pioggia ma non da temporale e questo ci autorizza a provare.
L'attacco, come pensavo non risulta dei più semplici, solo grazie ad alcuni sbiaditi ricordi di corso riusciamo a raggiungerlo. Stranamente non c'è nessuno, forse è il tempo, e questa è la mia prima via di cui ne sono interamente responsabile.
In fondo l'arrampicata risulta divertente anche per questo, proprio perché devo cercarmela e all'inizio è un po' difficile visto che mancano anche i chiodi ; poi con le difficoltà maggiori risulta più semplice.
Faccio anche un'interessante scoperta: la magnesite.
E sì... il "poff" tiene estremamente bene su appigli resi difficoltosi per l'usura, prima non l'avevo mai provato.
Si alza anche un forte vento che aggiunge così un po' di brivido, però verso le 14,00 siamo in vetta, comincia a cadere qualche gocciolina, subito i complimenti di rito con la mia compagna di cordata "l'Angela", e poi giù per una facile discesa.
Si è conclusa così la mia prima esperienza, devo dire con felice esito, da primo di cordata.