Mark Twight
L'alpinismo è storia di uomini e dei rischi che si assumono, di quelli che sono alla loro altezza, di quelli che riescono a malapena a farcela, e dei rischi che invece li uccidono.
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Giovanni Zorzi, per 67 anni illustre socio della nostra Sezione, si è spento il 20 novembre 1993.
Su di lui sono state scritte molte pagine e probabilmente molte ancora se ne scriveranno. Non ci stancheremo mai di ricordarlo, burbero e dittatoriale ma con una carica impressionante di vitalità.
La sua figura asciutta e la fronte spaziosa sono un'immagine inconfondibile e impressa in forma indelebile nella mente e nel cuore di chi ha vissuto con lui la montagna.
Qui di seguito riporto alcuni brani, inediti e no, con notizie salienti a lui riferite, cercando di far trasparire l'Uomo, dato che l'Alpinista e le sue imprese sono ormai cosa nota.
Fonte preziosa è senz'altro la memoria di Antonio Marchiorello, oggi mente storica del nostro "ragioniere".
Antonio Caregaro Negrin
Antonio Marchiorello
Non è facile parlare di un personaggio come Giovanni Zorzi e non si riesce a "mettere su carta" l'esatta dimensione dell'uomo e dell'alpinista e di questo me ne rammarico. Maggior rammarico però lo sento per il fatto che un'altra grande figura, uno degli "storici" della nostra Sezione che con maggior competenza e stile lo avrebbe presentato e suo grandissimo amico e compagno d'avventure, non è più con noi: Piero Mason.
Zorzi era mio cugino, ma per me è stato soprattutto un maestro. Ho avuto il privilegio di essergli amico e compagno di cordata, sebbene negli ultimi anni della sua attività. Tra i famigliari era chiamato Nino ma per la Sezione, per i soci e per me era il "Ragioniere" e credo che in fondo a lui piacesse venire chiamato così.
Siamo nel 1946. Dopo la forzata stasi dell'attività dovuta alla guerra, la ripresa è impetuosa, un'autentica ventata di giovinezza spalanca le porte della Sezione, si riapre la Sede in un vecchio e malandato locale in Piazzotto Montevecchio a cui si accedeva salendo diverse rampe di scale sgangherate e buie.
Si raddoppiava in un anno il numero dei soci, la partecipazione alle gite diviene un arrembaggio con settanta, ottanta, novanta soci per volta, ma se la partecipazione è numerosa, il tono dell'attività è modesto. A fine '46 entra in Consiglio il rag. Giovanni Zorzi che, già socio della Sezione dal 1929, se n'era poi allontanato.
Ma anzitutto, chi era costui?
"Una specie di fanatico dell'alpinismo, con manifeste tendenze accentratrici e dittatoriali. Alpinisticamente s'era fatto le ossa alla rude scuola dei rocciatori bellunesi degli anni trenta, i Rudatis, i Tissi, i Perini; e con ventanni di montagna sulle spalle, era allora un sicuro capocordata sulle medie difficoltà"
Questo è quanto detto da lui stesso e riportato nell'opuscolo fatto in occasione del 75° di fondazione della Sezione nel 1967. Aveva anche precisato: "Quae sunt Caesaris Caesari".
Entrato dunque nel Direttivo afferma subito la necessità di elevare il livello alpinistico della Sezione e di creare nei soci una mentalità e una cultura alpinistica. Il Presidente Vianelli, che lo conosce e lo stima, gli dà il suo appoggio e Zorzi si dedicherà alla realizzazione di tale programma per ben sedici anni, con notevolissimi risultati.
Ci leggeva spesso le parole di J. Kugy nel suo libro "Le Alpi Giulie", a questo scrittore era particolarmente affezionato. "Ricordate coloro che prima di voi hanno avuto la gioia dei monti. E non sia solo un bisogno del vostro cuore, ma un dovere di gratitudine. Non dimenticate che oggi, con la vostra tecnica e con le vostre capacità moderne, vi realizzate sulle spalle di quelli".
Improvvisati "istruttori" alcuni dei giovani più in gamba, si organizza nella Palestra di Valle S. Felicita, di cui la Sezione è consegnataria, il 1° Corso di roccia di cui è Direttore, naturalmente, Zorzi.
Alla domenica si andava in Valle S. Felicita ad allenarsi nella Palestra di roccia, naturalmente in bicicletta che si lasciava in una vecchia casa subito dopo il Capitello. La casa era abitata da un'anziana signora che, quando si tornava accaldati, ci offriva dell'acqua fresca porgendocela con un mestolo dopo averla attinta da un secchio. Per questa anziana signora Zorzi era "Giorgi dee scaeate"
Sempre nel 1947 "scopre" la Cresta di S. Giorgio (guai a chi la chiamava "Le Creste di S. Giorgio"), bel sentiero alpinistico e ne segna il percorso; sono ancora visibili, seppure un po' sbiaditi, i suoi segni e la sigla "G.Z. 1947". In suo ricordo, sono stati rinnovati ed è stata posta una targa ricordo.
E' l'inizio di quelle affermazioni che negli anni successivi porteranno la Sezione a primeggiare fra le consorelle Trivenete: dal Campanile Basso alla Marmolada Sud, dalla Solleder della Wilma al Gran Pilastro della Pala di S. Martino, Zorzi guida i giovani in decine e decine di classiche arrampicate. Era molto meticoloso nella fase di preparazione e le salite, da lui già effettuate, erano precedute da una riunione in Sede di tutti i partecipanti in cui venivano date le istruzioni del caso e venivano designate le formazioni delle cordate.
E' uno scrittore a macchina fittissimo, batteva sui tasti in modo energico, su sottile carta riso. Aveva una cultura alpinistica e una memoria fuori del comune anche negli ultimi anni sciorinava le date (giorno, mese, anno) degli avvenimenti alpinistici più importanti, di ogni montagna e di ogni alpinista sapeva la storia con i particolari più interessanti. Delle vie di salita sapeva descrivere, meglio di una guida scritta, passaggio su passaggio. "10 metri a destra, poi c'è un appiglio a maniglia un po' nascosto sulla sinistra, traverso a destra per alcuni metri, poi in spaccata si supera un passaggio delicato."
E' stato non solo l'indiscusso maestro di tecnica, di cultura e di etica alpina ma anche il primo capo cordata della maggior parte dei suoi allievi. Quando nel 1972 ha lasciato la direzione della Scuola di roccia ai suoi "allievi" divenuti Istruttori qualificati del CAI, non ha terminato certo la sua attività alpinistica che lo ha portato a salire ancora innumerevoli vie di medie difficoltà.
Fra le tante altre cime salite ininterrottamente anno dopo anno, c'è anche la 1° salita alla parete est della Moiazza (nel 1951) che da tanto tempo era rimasta nei suoi pensieri. Conclude in bellezza, a 70 anni compiuti sebbene non più da capo cordata, a fare delle vie di 5° grado, salite che sicuramente avrebbe potuto fare da primo durante il lungo periodo della sua attività.
Lui, modestamente, non si riteneva all'altezza ma si sottovalutava. Diceva sempre agli allievi che è necessario essere capaci di almeno un grado in più rispetto a quello che si deve superare, per via degli imprevisti che possono accadere durante una salita.
Uomo di profonda cultura alpinistica e conoscitore della storia delle montagne specie della Civetta e delle Pale di S. Martino, tanto che autori di guide alpinistiche si rivolgevano a lui per informazioni, recensioni o prefazioni. Era anche uno scrittore brillante e numerosi suoi scritti sono apparsi sulla stampa sociale del CAI, specie su "Le Alpi Venete", della quale è stato collaboratore per alcuni decenni.
Oltre al determinante contributo alpinistico è stato dirigente della Sezione dal 1947 al 1962, 6 come Consigliere, 4 come Vice Presidente e 6 come Presidente. Durante gli anni della sua Presidenza la Sezione segna la sua completa maturità con l'ampliamento della sua attività e con l'affermazione di alcuni giovani, Toni Marchesini e Carlo Zonta, con attività di altissimo livello sia in roccia che su ghiaccio.
Quando viene eletto Presidente nel 1957 il suo maggior contributo alla Sezione egli lo ha già dato; ma il lavoro e l'impegno non mancheranno. Profuse le sue energie in due importanti occasioni della vita del CAI.
Nel 1963 Zorzi viene rieletto per la quarta volta Presidente ma, dopo qualche giorno, il contrasto sul programma alpinistico non è che la causa occasionale delle sue dimissioni, sente che il suo ciclo è chiuso e che è giunta l'ora di lasciare il timone della Sezione ad altri.
Anche dopo le dimissioni da Presidente continua a dirigere la Scuola di Roccia fino al 1972 e anche durante questo periodo continuano ad evidenziarsi i risultati alpinistici del suo lavoro di formazione. In Sezione è stato sempre presente fino all'ultimo nelle Assemblee sociali, in occasione delle manifestazioni del Centenario nel 1992 e in Sede dove era piacevole sentirlo raccontare quando gli si chiedeva qualcosa.
Quando ha compiuto 90 anni gli abbiamo fatto una piccola festa con intorno una cinquantina di amici, soprattutto suoi ex allievi, era felice e pareva tornato indietro di qualche decina d'anni.
Qui di seguito riportiamo alcuni brani di persone vicine al Ragioniere con i quali hanno voluto ricordarlo attraverso particolari momenti di vita in comune o quantomeno parlando di lui.
Antonio Marchiorello
Ho il primo rapporto della salita al Col Fagheron, sul quale nel 1946 aveva aperto una via sullo spigolo S.O. e nel 1947 una più interessante di 4° grado sulla parete Sud, chiamato vegeto-minerale perché per superare un passaggio ci si aiuta con un arbusto.
(N.d.R.. Il 4° vegeto-minerale resterà un grado di difficoltà Zorziniana)
Siamo nel 1954, vigilia di Pasqua, ed è preoccupato perché ha sentore che amici veneziani vogliono fare la prima ripetizione sulla parete Sud del Col Fagheron il giorno di Pasquetta. Mi viene a cercare dicendo che non avremmo dovuto lasciarci soffiare la 1° ripetizione; così penso a chi potrebbe farmi da compagno; corro in Margnan e convinco Tito. Il giorno di Pasqua ci accompagna all'attacco, ci dà gli ultimi consigli e...."l'onore" di Bassano è salvo!
La via del Gran Solco al Soglio Rosso
La via del Gran Solco al Soglio Rosso, di 4° grado, è una delle vie di una certa lunghezza ed erano anni che ci teneva a farla. Nel 1956 decide di portare a compimento questo suo desiderio e mi chiede di fargli da compagno; ho naturalmente accettato con grande entusiasmo, grande almeno quanto la Sua gioia alla fine della via.
Anche per le altre salite la gestazione era piuttosto lunga, studiata, preparata e desiderata.
Montasio
Ricordo la soddisfazione dopo aver fatto la salita al Montasio per la via Dogna.
Innamorato di Kugj e naturalmente delle Alpi Giuglie, era da molti anni che ne parlava e finalmente, nel 1967, l'abbiamo realizzata insieme. E' giunto in vetta un po' "affaticato" anche perché, giova ricordarlo, aveva 65 anni!
Aveva preparato la "spedizione" con cura: orari dei treni e taxi che ci avrebbe aspettato a Sella Nevea per riportarci in stazione. Non è una salita semplice, sebbene senza molte difficoltà tecniche, ma sono 2000 metri di dislivello da superare. Un po' di difficile individuazione il sentiero di attacco poi per gradoni, mughi, cenge, caminetti fino al bivacco a quota 1850 metri: è una piccola grotta in grado di ospitare due o tre persone, protette da un muretto di sassi. Il giorno dopo per cresta, con spettacolare vista della "Sfinge del Montasio"; per cenge al Bivacco Suringar ed infine per il canalone Findenegg alla Cima.
Credo che la cosa che gli ha fatto più piacere è stata quando, dopo essere saliti sul Tricorno nel 1971, siamo stati in Val Trenta al monumento di Kugj.
In una precedente occasione non era riuscito a trovarlo.
E' stato diverso tempo assorto nei suoi pensieri ... e poi ha chiesto di fargli una foto. Quando siamo venuti via il suo volto era raggiante di felicità.
Giovanni Zorzi, di padre veneto e madre piemontese, nasce a Genova il 20.5.1902. Si avvicina al pugilato non ancora ventenne, prima a Genova e poi, a seguito del trasferimento della famiglia, a Bassano; con pochi fonda il Gruppo pugilistico locale di cui è atleta, istruttore, segretario, amministratore. Gli incontri sul ring durano però poco, nonostante epiche sfide, problemi economici chiudono l'attività. Un malanno polmonare costringe Zorzi ad una lunga e forzata vacanza ad Alleghe: è il primo incontro con la montagna. Sono gli anni '20; il gracile ragioniere resta incantato dalla possente ed elegante mole del Civetta. Di questo gruppo dolomitico percorre molte vie ripetendo anche salite importanti di illustri alpinisti ed aprendo lui stesso nuove vie. Si forgia alla scuola degli accademici bellunesi arrampicando con Rudatis, Tissi, Parizzi, Bianchet ed altri.
Da questa magica stagione, per Giovanni Zorzi l'alpinismo diviene pane di tutti i fine settimana. Salirà tutte le più importanti vette delle Alpi trivenete e dell'intero arco alpino spaziando in Austria e Slovenia e ancora l'Appennino Abruzzese e le Alpi Apuane. Non trascura lo sci dimostrando dura tempra anche sulla neve. Risiedendo per lavoro a Noventa Vicentina raggiunge in bicicletta Bassano (60 Km) tutti i sabato pomeriggio, vi pernotta e al mattino della domenica, ripresa la bicicletta, raggiunge Pove del Grappa e di qui, sci in spalla, sale a Campo Solagna (m 1000) dove consuma il Col Campeggia tra sbuffanti risalite e troppo brevi discese. A sera torna al piano, riprende la bici e rientra a Noventa ripercorrendo i 60 km.
Capo cordata sicuro e di grande esperienza, cede il comando solo al compimento del 60° anno di età ma continua ad arrampicare anche su impegnative difficoltà sino a 71 anni compiuti; deve poi smettere per ordine medico.
Socio del CAI dal 1926, ne percorre i gradi sino alla Presidenza della Sezione e al Collegio dei revisori centrali dei conti. Redattore prezioso della rivista "Le Alpi Venete", collabora alla stesura di alcune guide dolomitiche, diviene riferimento certo per la sua profonda cultura alpinistica. Memorabili le sue lezioni sulla storia dell'alpinismo. E' tra gli iniziatori dei Convegni triveneti.
Ma Giovanni Zorzi è stato soprattutto maestro di alpinismo, fonda nel '47 la Scuola di roccia della Sezione di Bassano di cui resta indiscusso direttore ed istruttore sino al 1970. Sono centinaia i giovani che imparano i rudimenti dell'alpinismo alla severa scuola di Giovanni Zorzi.
Uomo decisamente intransigente, prima con sé che con gli altri, diceva "sono gli uomini che fanno le istituzioni" Lui ne è stato l'esempio, battagliero e fiero sostenitore delle proprie convinzioni, la sua interiore rettitudine non gli ha consentito, nella pur lunga vita, alcun compromesso. Istruttore per vocazione senza aver mai conseguito alcun brevetto è riconosciuto, non solo nell'ambiente locale, padre dell'alpinismo sezionale del secondo dopoguerra.
Dal suo esempio e dalla sua guida sicura si è elevato il livello dell'alpinismo locale, si è creato soprattutto mentalità e cultura alpinistica.
Piero Mason (dal notiziario gennaio 1996)
Questo racconto me lo ha dato Piero Mason, qualche giorno prima di lasciarci, per il nostro notiziario al quale teneva in particolar modo e al quale ha collaborato con numerosi scritti, sempre interessanti, ricavati dalle sue continue ricerche negli archivi della Sezione. Sua intenzione era ricordare la figura di Giovanni Zorzi, ma questo suo scritto, piacevole ed arguto, ci fa sentire più vicino Piero. - Antonio Marchiorello
"Può partire... lasci pure il chiodo" Il tono era più quello di un ordine che di un avviso:"... tolsi il Vaiolet che ci aveva offerto una assicurazione molto precaria e lo agganciai alla cintura; dagli sfasciumi che negli ultimi minuti mi erano piovuti addosso avevo capito che la salita era terminata. Sulla cresta mi attendevano un sorriso ed una stretta di mano", infine risalimmo insieme i pochi metri che ci dividevano dalla vetta.
"La ringrazio. L'intuizione della fessura ha risolto il problema, è stata una bella arrampicata degna chiusura della mia carriera alpinistica; ormai ho 50 anni e la prossima estate non sarà più Civetta ma Genova, Portofino, Rapallo ... la Liguria da dove sono partito."
Questa giornata aveva avuto inizio da una frase di Giovanni Angelini scritta in "Salite in Moiazza" che così recitava "... non ci era mai riuscito a salire la Moiazza Sud da est ..." e il pensiero che una parte della sua montagna fosse ancora vergine alla mercé di un qualunque avventuriero lo aveva messo in agitazione; già in luglio era partito con un "venessian" della S. Felicita, aveva ritentato all'inizio di agosto con Berto Filippi, il suo migliore allievo, ed ora finalmente il 22 agosto 1951 aveva riaffermato la sua signoria sulla Moiazza Sud.
In vetta alla sua montagna forse rivedeva le altre giornate vissute lassù: la traversata solitaria da nord a sud del '42 e le due punte delle "Rocchette delle Nevere" da lui battezzate con i nomi delle figlie Evelina e Maria, la parete ovest salita con Banchieri nel '47 ed infine la parete est, il piatto del giorno.
Stavo assistendo all'addio alle montagna del Maestro.
Intanto la sete si faceva sentire: "Lasci il sacco che oggi ce la sbrighiamo presto, prenda solo il materiale." L'accento era stato perentorio e così alla base della parete con gli scarponi era rimasta anche la borraccia di Lapsang e tutto quello che, in una giornata torrida passata su una parete rocciosa con un alito infuocato che saliva dal Vant come da una fornace, sarebbe servito a rendere più ospitali i quattro sassi di vetta per i quali ci eravamo impegnati tutta la giornata; la colpa era solo mia che dovevo ben conoscere le spartane abitudini del ragioniere in montagna.
Nei giorni seguenti ci trasferimmo al Vazzoler che allora voleva dire Armando Da Roit, incontrammo Tissi e Andrich, Sonia con Livanos e Gabriel, Piero Rossi e Abram; certamente in quel periodo il rifugio era ben frequentato; Zorzi ricevette le congratulazioni di tutti e qualche giorno dopo salì forse per la ventesima volta la Torre Venezia per accompagnare la Cicci; le ferie stavano ormai per finire, non ci restava che la passeggiata al Coldai come chiusura di una fortunata vacanza.
Percorrere la Val Civetta con Giovanni Zorzi era un'indimenticabile lezione sull'alpinismo dolomitico: di ogni vetta, di ogni pinnacolo raccontava la storia e qualche volta le storie erano anche argute, andava con la memoria ai ruggenti anni trenta, ai grandi arrampicatori che si misurarono nella battaglia del sesto grado.
Lentamente arrivammo al termine della cresta nord "... e queste sono le tre Rocchette: Torre Coldai, Torre Alleghe e Torre Valgrande; che ne direbbe di salire domani mattina la Torre Alleghe?" Salire la Alleghe, arrampicare, l'idea mi portò direttamente alle pedule e mi resi conto che le avevo lasciate al Vazzoler sotto la panca del fogher, le avevo inaugurate alla Moiazza una settimana prima e per le mie finanze erano anche costose.
Dietro-front e veloce ritorno al rifugio e poi, certo meno rapidamente, per la terza volta la Val Civetta per raggiungere finalmente il Rifugio Coldai; la tranquilla passeggiata di trasferimento era diventata una lunga e anche noiosa giornata di marcia.
Non so cosa possa avergli fatto cambiare parere, ma la sera a cena la salita alla Torre Alleghe era stata rimandata ad altra occasione e il giorno dopo tornammo a Bassano.
Nel 1967, sedici anni dopo, Zorzi mi annunciava con una cartolina: "Negli ozi di Pecol la storia è finita; Torre Alleghe in faticata solitaria". Era forse un altro addio alla montagna dopo che la promessa del '51 in Cima Moiazza era risultata degna di un marinaio ligure.
E' risaputo che il rapporto fra l'uomo e la montagna può anche assumere delle manifestazioni passionali; corteggiamento, innamoramento, conquista fanno parte del gioco e non sempre si tratta di una montagna di eccezionale grandiosità o bellezza; è sufficiente anche una modesta torre per appagare il proprio senso estetico e il desiderio di un simbolico momentaneo possesso.
Avevo capito Zorzi teso a completare tra il '42 e il '51 la conquista della Moiazza Sud in segreta competizione con Giovanni Angelini, ma mi era incomprensibile che avesse covato dentro di sé per tutto questo tempo la Torre Alleghe.
Mi serviranno altri diciotto anni per arrivare ad una spiegazione: nell'85 appariva in libreria "Liberazione" di Rudatis in cui è descritto un tentativo fallito nel 1927 alla Torre Coldai per la parete ovest a causa della caduta in traversata del secondo di cordata, che trascinò con sé anche il terzo, il nostro Zorzi; da quel volo del lontano 21 agosto 1927 ebbe origine l'intimo impegno con la seconda Rocchetta che è stato onorato quaranta anni dopo, il 24 luglio 1967 a sessantacinque anni di età.
Una sera su una panchina di Viale delle Fosse di Bassano del Grappa, nostro abituale punto d'incontro, accennai all'incidente del '27: "Rudatis ricorda male" fu l'asciutta risposta che non ammetteva repliche. Chissà se ora che Domenico Rudatis lo ha raggiunto nelle valli celesti, saranno riusciti a concordare una versione comune di quanto accadde allora.......Io ne dubito!
31 Luglio 1995
Piero Mason